La fine giustifica i mezzi.
Anno I - Numero 1
Speciale Trento
RAPITO IL TEATRO!
L’aggressione in piena notte davanti a un distributore automatico di sigarette. Tre mimi su una panda.
Ancora nessuna rivendicazione. Gli inquirenti sospettano tra gli addetti ai lavori.
Ieri, alle 4.48 di una fredda mattina di gennaio, è stato rapito il Teatro. L’aggressione sarebbe avvenuta nei pressi di via Padova, dove da tempo il Teatro si era appartato, rifuggendo la ribalta più frequentata della zona centrale di Milano, per rifugiarsi nella periferia grigia e multietnica della zona 5. Secondo la testimonianza di un pusher marocchino che a quell’ora smontava dal consueto turno di lavoro, il Teatro, che stava acquistando un pacchetto di sigarette ad un distributore automatico sotto casa, sarebbe stato avvicinato da una macchina, una panda rossa 4x4, da cui sarebbero scesi tre individui vestiti di nero con la faccia dipinta di bianco. A quanto pare un terzetto di mimi, visto che secondo il testimone, hanno intimato e costretto il Teatro a salire sull’auto senza dire una parola.
A 12 ore dal sequestro, non c’è stata nessuna rivendicazione.
Secondo gli inquirenti, i rapitori vanno cercati nell’ambiente teatrale stesso, dal momento che il Teatro, non godendo di grande popolarità al di fuori dei propri confini, difficilmente potrebbe essere nel mirino di qualcuno all’esterno. Esclusa quindi la pista delle grandi associazioni di natura mafiosa e il terrorismo politico.
Secondo le testimonianze raccolte tra gli amici più intimi, negli ultimi tempi il Teatro si era fatto più scontroso e insofferente nei riguardi della propria condizione sulla scena nazionale. Privato di fondi e costretto a vedere i pochi concessi sprecati in opere da lui considerate sempre più «vecchie e tristemente ampollose», il Teatro aveva cominciato a bacchettare qua e là l’establishment, prodigandosi in furiosi litigi e uscite al vetriolo nei confronti di personalità di spicco.
Due mesi fa, nel foyer del Piccolo, tutti lo avevano sentito discutere animatamente con il Teatro di Narrazione, al quale imputava la colpa di usare il palco per fare lezioncine retoriche e pedanti con la scusa dell’impegno civile.
«A me interessa la parabola umana delle passioni, non il giudizio morale delle stesse! Perché la morale cambia, mentre le passioni sono immutabili! Sono durato fino adesso con questo sistema, con il tuo mi affossi, stronzo!». Questo è quanto avrebbe gridato, in preda ad un visibile stato di alterazione.
Passò una settimana soltanto, e a fare le spese della sua lotta senza quartiere era stata l’Avanguardia, messa alla gogna per aver perso la sua carica rivoluzionaria in favore di una comoda sistemazione nell’apparato statale e per essersi ridotta a fare spettacoli di «un’ora circa senza testo e tanta inutilissima quanto intellettualissima ginnastica!».
Ma non sono certo solo questi i possibili rivali con un movente sufficiente a giustificare un tale atto.
Tra gli altri, il Teatro di prosa in genere, con i suoi «attori platinati e insciarpati e le puttanelle ripescate dalla televisione, le scenografie di legno e i costumi così finti da far passare per realistica la casa delle barbie!».
Il cabaret, ormai rifugio di individui «con seri problemi mentali, coglioni buoni per fare battute in un bar di paese, non di calcare un palco!»
Ma anche la danza, ancora attaccata alla calzamaglia e al lago dei cigni «come un bambino alla tetta materna!».
Parole dure su cui pesa certamente l’abuso di alcool e droghe, compagni fedeli dai tempi dei famigerati anni 70.
Tutte queste persone verranno interrogate nelle prossime ore, in attesa che qualcuno si faccia vivo.
Nemmeno preso in considerazione il Cinema – troppo in buona salute per abbassarsi a lucrare alle spalle del Teatro –, che anzi esprime «piena solidarietà al fratello più povero».
Scagionata d’ufficio la Televisione. Alla notizia: «E’ stato rapito il Teatro!», avrebbe risposto: «Rapito chi?».
P. Farozzi
Invitiamo chiunque possa aver visto o udito qualcosa a mettersi in contatto al più presto con le autorità. Da parte nostra, promettiamo il massimo impegno nel seguire la vicenda e nel tenervi informati!
PREMIO BELLAMERDRA
Bellamerdra!Il premio che dà un senso alle cose che non ne hanno! C’è tanto schifo in giro che aspetta di essere rivalutato! Vi siete mai chiesti quanta fatica ci sia dietro tante cose che denigrate e sminuite facilmente come bere un bicchiere d’acqua? È ora che tutti questi sforzi vengano premiati!
Bellamerdra! Il premio che premia la tenacia, il sudore di chi fa male con impegno il proprio lavoro! In ogni campo dello scibile! Non pensate che trattandosi di una rivista teatrale noi qui ci si occupi solo di teatro! Per carità!
Bellamerdra! Il premio che sdogana tutto e tutti, abbattendo i confini della qualità e del buongusto, in nome di una parità artistica e intellettuale rivendicata con ardimento!
LA TELEVISIONE!
Invincibile. Indistruttibile. Imprescindibile.
Il Premio Bellamerdra non poteva essere che suo.
E’ inevitabile. Il Primo premio Bellamerdra se lo aggiudica, a pieni voti, la Televisione. Con
Sanremo e il Grande fratello le emozioni sono state così tante che c’era da rischiare il cardiopalma.
Il Festival di Sanremo ha reso possibile il sogno di molti; vedere finalmente in tv una festa parrocchiale in grande stile, per la quale si sono spesi soldi e fatta una pubblicità come si deve, anziché il tipico passaparola a fine messa o il foglion scritto in bacheca da un padre Firmino qualunque. Antonella Clerici era perfetta nella parte della mamma casalinga che si
presta per una sera a fare la presentatrice. Splendido Emanuele Filiberto nella parte del tipico belloccio dell’oratorio tirato su all’ultimo per farlo esibire in un numero imbarazzante di cui
sparlare e ridere per almeno una settimana. Non era facile stare un simile scherzo, considerato già il disagio di essere uno di casa Savoia. Geniale Arisa, nella difficile parte della ragazzina bruttina ma dotata, messa a intrattenere la frangia ottuagenaria del pubblico, zoccolo duro e immancabile nelle feste parrocchiali, con la sua divertente e fresca canzone in stile anni 30. Strepitose le Sorelle Marinetti, papà inappuntabili e sempre seriosi che stupiscono parenti e amici, abituati a vederli in doppiopetto e cravatta, vestendosi per una sera da donna e suscitando l’ilarità generale. Reggono
bene il gioco, anche se devono impratichirsi, Valerio Scanu e Marco Mengoni, nella parte dei figli talentuosi su cui le mamme si perdono in commenti edificanti quali “Ha davvero una voce splendida, e poi una presenza!” oppure “Deve continuare, che lo coltivi, questo talento”. Non sono mancati certo i genitori invidiosi pronti a denigrare o a sminuire, ma ci sta. Una festa della parrocchia è fatta di momenti allegri ma anche di parentesi velenose. In ogni caso, come sempre in questo genere di feste, tutto è rassicurante; che vada bene o male, a vincere e a perdere sono sempre gli stessi. Gli amici. Il Grande Fratello invece ha reso possibile un'altra utopia; la totale autonomia del pubblico nelle sue preferenze televisive. Ha vinto Mauro Marin, uno sinceramente contro, sempre in polemica, uno “scafato” che nonostante la casa abbia sempre votato per buttarlo fuori, ha trovato nel pubblico il suo più fido alleato. Ogni volta che entrava in nomination per uscire dal gioco, c’era la pronta offensiva dei telespettatori, che non ci stavano proprio a farsi privare dell’anima bastarda del programma. E hanno ragione. Va bene che Mediaset non vuole un canone, ma se mi siedo davanti alla televisione voglio vedere qualcosa che mi appassioni. Una casa di buonisti che tirano a campare e fingono di volersi bene? No grazie. Un po’ di carne e sangue. Il pubblico è stanco di questa falsa morale per cui alla fine vince sempre chi sta al suo posto. Non
a caso, ad avere più successo nelle scorse edizioni non erano mai i vincitori, ma gli esclusi più turbolenti, con il pepe addosso. Insomma; diamo spazio agli onestamente ruffiani, alle merde vere, agli stronzi con sincerità. Forse un pubblico del genere, qualora sparisse la sospensione dal programma per chi bestemmia, farà finalmente vincere chi avrà il coraggio di dirla tutta al Buon Dio, anziché propinarci quelle orribili variazioni politically correct tipo; Porco due, Porco diaz o Porco Zio. Che chissà poi che c’entra il povero zio. Augurandoci che le cose vadano in tal senso, diciamo; Cara Televisione, il premio Bellamerdra è tutto tuo. Goditelo. E continua così. Altrimenti ci si annoia.
P. Farolfi
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"IL RESTO E' SILENZIO" - Amleto. Scena Seconda - Atto V