MANDRAGOLA!
La fine giustifica i mezzi.

Anno I - Numero 2
Aprile 2010

Speciale Roma





RIPESCATA IN FONDO ALL'IDROSCALO. E' QUELLA USATA PER IL SEQUESTRO.

RITROVATA LA PANDA!

MA CHI HA RAPITO IL TEATRO NON SI E' ANCORA FATTO VIVO.

Dal nostro inviato Paolo Farolfi – Ritrovata sul fondo dell'Idroscalo la panda usata per il sequestro del Teatro avvenuta ormai un mese fa. Ancora nessuna notizia sul fronte delle rivendicazioni. «Questo silenzio prolungato è inspiegabile. Se dietro vi fosse un'organizzazione di stampo politico, il quadro sarebbe più grave del previsto» - questa l’affermazione, appena dopo la scoperta del mezzo abbandonato, da parte del questore di Milano. Ipotesi che per qualcuno è impensabile. «Chiunque volesse trarre vantaggi economici da un riscatto del genere sarebbe un pazzo – sottolinea il ministro del turismo e dello spettacolo - Se avessero rapito il Cinema, avrebbero potuto chiedere qualsiasi somma, ma con il teatro?». A quanto pare, sequestrare il Teatro potrebbe risultare come aver rapito l’industriale milionario, per poi scoprire che si tratta di un semplice operaio. «Avrebbero come minimo dovuto rapire l’opera Lirica – prosegue il ministro - se avessero voluto attirare l’attenzione. Ma con il Teatro dubito che riusciranno a ottenere qualcosa dallo Stato». Sulla panda non sono state trovate tracce o impronte di alcun tipo. La stagione teatrale intanto prosegue.



IL RITORNO DEI MAESTRI VIVENTI

EUGENE IONESCO

INTERVISTATORE Mister Ionesco,
grazie innanzitutto per… Sappiamo
che negli ultimi… difficile incontrarla.
IONESCO Da quando sono… ho
deciso di non rilasciare più…
INT E questo ovviamente ci… Mi
permetta una… È passato del tempo da…
Può spiegarci questo…
IONE Mi è diventato difficile riprendere
la…
INT Certo i tempi sono… A questo
punto vorrei… noi due… parlare normalmente.
IONE Crede che sia ancora possibile
oggi un teatro dell’Assurdo?
INT Quella battuta è mia.
IONE Questo non glielo so dire. Certo
resta ancora possibile fare delle assurdità
in teatro.
INT Dunque nel panorama contemporaneo
ritrova dei suoi epigoni?
IONE Questo sarebbe assurdo.
INT Appunto.
IONE Cosa?
INT Nel panorama…
IONE Siamo d’accordo. Oggi il teatro
è inserito in un panorama culturale poco
dialogante…
INT Il monologo è l’ideale per appiattire
i costi di produzione. Al giorno
d’oggi sarebbe impossibile, come fu nel
caso de La cantatrice calva, mandare in
scena un pompiere.
IONE Quel pompiere appartiene ai
miei anni giovanili. Era il simbolo dell’assurdità
che irrompeva nella vita di allora.
Oggi sarebbe tutto diverso…
INT Allude al fatto che oggi è diverso
da allora?
IONE Alludo al fatto che si stava meglio
quando si stava peggio. Senza contare
che i testi che appartenevano al teatro
dell’Assurdo sono diventati troppo datati
per poter dire ancora qualcosa.
INT Rappresentare Il re muore oggi
vorrebbe dire fare riferimento a un simbolo
che non esiste più.
IONE Il re muore l’ho scritto in un periodo
di grave malattia. Il significato di
quel testo va ben oltre la questione su chi
governa in Italia.
INT Si riferisce al fallocentrismo.
IONE In un certo senso, anche se ormai
sono guarito.
INT Dunque concorda con me che
leggere il presente con gli occhi del futuro
è d’uopo in un periodo come il passato.
IONE Sarebbe assurdo negarlo.
INT Si riferisce al fatto che oggi c’è
poco spazio per le nuove drammaturgie?
IONE Anche. Ma soprattutto al problema
della sterilizzazione. Dopo l’intervento
le gatte non sono più quelle di
prima.
INT Fuor di metafora, una sola gatta
non può riassumere tutta la nuova generazione.
Quello che è certo, però, è che
oggi il teatro è più vivo che mai. Basta
semplicemente riesumarlo.
G. Finnegan



PREMIO BELLAMERDRA


ARLECCHINO MORIRA’ CON ME!
Il premio Bellamerdra per il sudore e la tenacia va a Ferruccio Soleri.

Essere Arlecchino per 50 anni. Da poco entrato nel guinness dei primati, Ferruccio Soleri è diventato forse l’attore italiano più noto del globo. 50 anni nella stessa parte non è una cosa da nulla. Certe cose uno pensa che succedano solo al cinema. Insomma, non ci sono dubbi che Rick di Casablanca è stato, è e sempre sarà Humprey Bogart. E pensare che la parte la recitò solo una volta. Ferruccio Soleri invece, per continuare a essere Arlecchino, alla stregua di come Bogart è Rick, deve sbattersi e se avete più di ottant’anni non è una passeggiata. Bogart è già morto, eppure se guardi Casablanca eccolo lì, bello e aitante, al massimo del suo splendore. Soleri è un genio. In barba al fatto che il teatro sia una delle arti cosìdette effimere, l’ eterno Arlecchino non molla. Quando mia madre prese la patente, Soleri cominciò a essere Arlecchino, e continua ora che la patente a mia madre forse non la rinnoveranno, visto i 70 anni alle porte e la cataratta che incombe. Ma del resto, se mia madre facesse quattro rampe di scale al giorno e una dieta adeguata come Ferruccio Soleri, forse potrebbe pure gareggiare in formula uno. Se continuerà così, e noi ce lo auguriamo, Andreotti vedrà insidiarsi il suo primato di longevità sulla scena politica. Anche perché, dopotutto, che male fa un attore? Nessuno porterà in tribunale Soleri per fare chiarimenti su rapimenti di politici illustri, o sulla caduta in volo di aerei nazionali. E meno male. La gente applaude, i bambini si divertono (la figura del nonno è sempre accattivante) e quindi? E’ pur vero che dobbiamo prepararci al peggio nei prossimi anni. Insomma, inutile dirlo: o chiamano un grande regista di Hollywood che faccia un film dell’Arlecchino di Sthreler e regali l’immortalità a Soleri come al buon Bogey, o altrimenti, tra non molto, Ferruccio ci abbandonerà, e lì saranno dolori. Chi lo fa Arlecchino, dopo Soleri? «Arlecchino morirà con me», ha chiosato tempo fa. Eppure, Arlecchino era vivo e vegeto quando andò da lui. Aveva la faccia di Marcello Moretti, ma era pur sempre lui. C’è Enrico Bonavera, il giovane sostituto. Ma Ferruccio dice che si preoccupa troppo di stupire il pubblico anziché dello spettacolo e che perciò deve impratichirsi. Finora fa soltanto le repliche pomeridiane della domenica. Quando accadrà l’irreparabile, arriverà pronto all’appuntamento con il ruolo della vita? Ma soprattutto: non è che quando dovrà sostituire l’immortale Soleri, sarà troppo vecchio?

P. F. F.

MINZIONE SPECIALE
BRAVO! L'HAI FATTA FUORI DAL VASO!

La minzione speciale Bravo! L’hai fatta fuori dal vaso questo mese va a Paola Antonelli, la designer e architetto di cui tutti noi, in quanto italiani, dovremmo essere fieri. Non solo è una delle cento persone più potenti del mondo dell’arte – e passi. Non solo è la curatrice del Dipartimento di Architettura e Design del Museum of Modern Art (MoMA) di New York – e passi pure questo. Ma è la fautrice della più grande rivoluzione artistica di questo primo decennio degli anni duemila. È grazie a lei se @ – il simbolo della e-mail – è entrata a far parte della collezione del MoMA come opera d’alto design. E parlare di rivoluzione è quasi riduttivo, perché l’evento cui ci troviamo davanti significa che «il possesso di un oggetto è ormai superfluo: la bellezza non si incarna più solo in quadri o statue». Bentornato Platone: finalmente nessuno riderà più dell’idea di cavallo!
C’è tutto il genio italico in questo piccolo grande gesto che, anche se non cambierà le sorti del precariato, certo lo renderà un po’ meno triste perché ancora una volta è la dimostrazione che noi italiani non ci diamo per vinti, e prima o poi qualcosa portiamo a casa. È l’arte di arrangiarsi tipica di casa nostra, quel tocco di napoletanità che, volenti o nolenti, abbiamo nel sangue e ci rende simpatici e benvoluti un po’ ovunque. Dopo Totò, che voleva vendere la Fontana di Trevi, ecco l’architetto Paola Antonelli, che riesce a portare tra i vari Picasso, van Gogh, Gauguin, Cézanne, Bacon, la chiocciolina che negli anni ’70 l’ingegner Ray Tomlinson salvò dall’oblio cui era destinata. Come se non bastasse, la Antonelli riesce a scrivere un’importante pagina di storia dell’arte senza che il MoMA debba sborsare un quattrino. L’italianità è tutta qui: compiere una grande impresa con pochi mezzi, riuscire dove gli altri nemmeno pensavano. E quando l’architetto nostrano, col coraggio di uscire dal coro, dice: «Non sopporto chi si lamenta sempre dell’Italia», noi diciamo: Brava! L’hai fatta fuori dal vaso e ti apprezziamo per questo.

M. C. C.

RECINZIONI TEATRALI

A teatro con gli Enfats de la patrie!

Il giovane tossicodipendente! L’infermiera! Il bracciante agricolo! Lo stregone africano! Ecco i possibili colpevoli di Culi a merenda, la commedia più dissacrante tra quelle che Philippe Dagnot scrisse durante gli anni di detenzione per uxoricidio. Non si sente più il clima del carcere, non si respira più l’aria viziata della cella. Questa pièce, pressoché sconosciuta al pubblico italiano, segna la svolta di Dagnot, l’accettazione della pena e l’inizio della redenzione, come ben rappresentano i toni sublimi del posteriore Gli amanti della Senna.
In Culi a merenda, la storia è serena, leggera, nonostante la catena di assassini che vengono consumati nell’area pic-nic del parco «Beaumont» di Frisanelle. L’ossessione dell’assassino – seppellire le vittime con il didietro che spunta da terra – non ha toni scabrosi e non concede nulla ad un’estetica del negativo; al contrario, raggiunge livelli di splendido parossismo, quasi lirici. Le figure della guardia forestale e dell’ispettore non sono minimamente appesantite dal rapporto omosessuale che li lega e li oppone nelle rispettive indagini – rapporto che è l’altro ingrediente dell’equivoco titolo della pièce.
La giovane compagnia francese Enfants de la patrie ha il merito e il coraggio di portare in Italia lo spettacolo che li ha consacrati in patria come gli eredi della Nouvelle Vague teatrale. I 13 attori si muovono abilmente sulla scena, per nulla impacciati dagli sguardi strabici di un pubblico indeciso se seguire la storia tramite gli schermi sottotitolati o le performances sessuali che ne scandiscono il ritmo. Certo non mancano i soliti benpensanti che non perdono occasione per rumoreggiare durante la rappresentazione, ma nel complesso il pubblico italiano tende a rispondere bene, quasi fosse consapevole del nuovo linguaggio che da un decennio a questa parte si sta sviluppando oltralpe.
Impeccabile e rigorosa la messa in scena, che quando abbandona la filologia non fa che arricchire la trama e il ritmo della storia. Certo si sente la mano del regista Georges De Laguerre, da sempre fine interprete delle opere di Dagnot, ma soprattutto fine conoscitore dei meccanismi psicologici che spesso e volentieri ammantano di leggerezza anche i delitti più efferati e le situazioni più aberranti. Bravi gli attori, soprattutto il giovanissimo Louis Dufour nell’impegnativo ruolo del cespuglio di rovi. Più che azzeccata la scelta della colonna sonora, interamente composta e suonata da un Organetto di Barberia.
In scena al Teatro dei Buffoni di Firenze fino al 18 aprile.

U. P.

MEGLIO DI ARANCIA MECCANICA

La compagnia Blusclint sbarca nel Regno Unito ed è subito clamore. Bastano appena un paio di
repliche al Komakino Theatre di Manchester per infiammare il pubblico e creare un caso nazionale. Woof! un melòpunk, storia di un ragazzaccio punk, il Lupo, che sta sotto la finestra della donna che ama, la Pecorella, con una mazza da baseball per eliminare dal gioco amoroso tutti i possibili pretendenti, è piaciuta così tanto che dopo una settimana dalle repliche già spuntavano emuli e mitomani. Appropriatosi dei colori del Lupo, ma soprattutto della sua arma infernale, qualcuno ha pensato bene di prendere sul serio le imprese del personaggio mettendosi a delinquere a suon di mazzate. Max Grandhouse, postino di Macclesfield, ha ucciso un operaio che insidiava la sua ragazza e lo ha fatto bardato di tutto punto come il Lupo. «Erano settimane che quello ci provava con lei, e io sonostato a guardare. Dopo aver visto Woof! ho trovato il coraggio di farlo, e non me ne pento». Un evento che non si registrava dai tempi di Arancia Meccanica. Complice in questo caso la storia, che non manca di quel fascino seducente pronto a carpire chi, rispetto a certe faccende di cuore, è particolarmente sensibile. Il Lupo spacca le teste dei pretendenti che mancano di ogni romanticismo e passione e non hanno la decenza di prestarsi al gioco d’amore con un po’ di sana follia. Vestito come un guerriero metropolitano dai colori del Lupo Ezechiele, il serial killer è un inquietante fumetto a metà tra Alex di Arancia Meccanica e il Corvo di James O’Barr. Scuro nel suo giubbino di pelle ma brillante nella cresta punk e nei suoi pantaloni blu, il Lupo ha tutte le carte in regola per essere un post-moderno Pierrot. Folle, malinconico a tratti, subito pronto a scattare in piedi laddove l’amore subisca il peggiore dei torti: la banalità. E pensare che la Pecorella, alla fine, altro non è che una ballerina di peepshow. Woof! suscita nel pubblico, soprattutto maschile, un istinto più che riconoscibile: l’amore incondizionato e senza tregua che colpisce talvolta un uomo fino a spingerlo a fare cose assurde. Tra le quali a volte anche uccidere. Cosa che il Lupo fa apparire non solo semplice, ma persino edificante. Ma questi sono problemi che riguardano la giustizia. Noi registriamo un attore solido, per altro bravo nel districarsi con l’inglese, una drammaturgia poetica senza risultare letteraria, una regia luci scarna e punk quel tanto che basta per lasciare spazio a una verità graffiante e non spettacolarizzata. Se poi ci aggiungete la colonna sonora – Joy Division, Bauhaus, Cure – il gioco è fatto. Cult! Cult! Cult!

Eddy Tillove, The Sun, 12 /03/2010
Tradotto da M. B.

IL CUORE OLTRE LA META
di Eleanor Rugby

«Cara Eleanor,

sono un attore e ho un problema che a sentire altri miei colleghi affligge un po' tutta la mia categoria, ma che per me sta diventando un vero e proprio ostacolo a una vita serena. Il fatto è che dopo tanti anni di relazioni complicate, brevi e fallimentari con attrici, registe, assistenti alla regia, ho finalmente capito ciò di cui ho davvero bisogno: una donna che lavora! Che la mattina si alza. Che ha nell'armadio vestiti di rappresentanza. Che ha una borsetta di pelle. Che fa la pausa pranzo con le colleghe parlando di scarpe e vestiti. Che si mette un profumo di marca. Che usa collant velati. Che ha sul comodino l'ultimo libro di Fabio Volo. Che nel week end cerca di andare al mare. Che la sera, a un certo punto, arriva a casa. Che ha uno stipendio! Magari precario, ma uno stipendio. Una donna con cui poter parlare di contratti e di dove andare in vacanza ad agosto. In vacanza, non in giro per festival estivi tra saltimbanchi e tende da campeggio! Una donna da dover andare a prendere alle otto e non a mezzanotte dopo la replica. Una donna con cui andare a una prima e che non si fermi ogni due passi a salutare metà della platea. Una donna da presentare agli amici senza che la conoscano già tutti. In pratica, stringendo, cara Eleanor...una donna normale, ordinaria e comune che ha una vita normale, ordnaria e comune. Come fare? Non la trovo...»
Parsifal


Caro Parsifal,
per la tua carriera è molto meglio se lasci perdere, non ti sposi e non cerchi una donna normale.Vivi in bilico, senza certezze, che fa bene al mestiere dell’attore se no, caro mio, ti siedi sugli allori e col cavolo che crei! Fatti tutte le attrici che riesci, allarga i tuoi orizzonti! Che se non si fa così... la fantasia muore e tu con lei.
Caramente,

Eleanor

La rivista è realizzata senza alcuno sforzo intellettivo da Blusclint.

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