MANDRAGOLA!
La fine giustifica i mezzi.


Anno I - Numero 4
Novembre 2010
Speciale Prospettiva

Già un cult senza aver venduto una sola copia!!!

RIVENDICATO IL SEQUESTRO DEL TEATRO!
E' IL GRUPPO DI ANARCHICI DI MARE E DI FIUME.
FREGATE ROSSE
IN UNA LETTERA AL QUOTIDIANO "ROTTA CONTINUA" RIVELANO: L'ABBIAMO NOI!
Dal nostro inviato a Milano – Sono state le Fregate Rosse, il gruppo di militanti anarchici che scorrazza per i fiumi, i mari, i canali e le rogge del nostro paese ad aver rapito il Teatro. La rivendicazione è avvenuta sulla loro rivista dai toni sovversivi Rotta Continua - distribuita nelle università e nell’angolo luci rosse delle edicole - tramite la quale hanno fatto sapere che il Teatro è sotto la loro custodia, ma non fanno sapere quali siano le sue condizioni, al di là di quelle pessime in cui già versava negli ultimi tempi prima del sequestro del marzo scorso. Qualora la rivendicazione sia valutata attendibile, la faccenda si complicherebbe gravemente. Era dai tempi degli anni di piombo che il Teatro non era di nuovo protagonista sulla scena politica del paese. Ma se allora era decisamente partecipe dietro la barricata dei rivoluzionari - non dimentichiamo la sua firma nella petizione contro Calabresi per il volo dell’anarchico Pinelli - oggi lo troviamo inspiegabilmente vittima di chi ne aveva fatto uno dei punti di riferimento nei turbolenti anni 70. IMBORGHESITO, IMBOLSITO, IMPOTENTE. Così viene definito nella lettera aperta a Rotta Continua, che lo accusa di aver perso smalto. Eppure, agli inizi pareva proprio che il Teatro fosse stato sequestrato per aver alzato la testa contro queste degenerazioni ma, evidentemente, gli anarchici delle Fregate Rosse non lo hanno ritenuto abbastanza. Il fatto è che col tempo il Teatro ha smesso di schierarsi, bofonchiando il suo malumore senza scendere in campo. Atteggiamento non certo gradito alla frangia anarchica fluvial-marinaresca. Non è ancora invece chiaro cosa vogliano i rapitori in cambio del rilascio. Avanzeranno pretese di natura politica o economica? Non ci è dato saperlo, ma ci si chiede: in cambio del Teatro, cosa mai spereranno di poter ottenere?

Ambrogio Kovalsky
Centra




IL RITORNO DEI MAESTRI VIVENTI


PREMIO BELLAMERDRA

Il premio che tutti vogliono ma non tutti hanno


STANNO TUTTI BENE. Parola di fiction...
È ormai il motto della fiction italiana, a cui va il nostro Bellamerdra novembrino. STANNO TUTTI BENE. È questo il messaggio confortante degli sceneggiati televisivi degli ultimi anni, che aiutano il popolo italico rassicurandolo non solo sul presente, così oppresso dalla crisi, ma anche sul passato qualora, guardandosi indietro, non sia preso dallo sconforto per episodi non proprio edificanti che hanno segnato la nostra beneamata patria. Come non ricordare il Capo dei Capi, in cui si raccontava l’epopea di Totò Riina, ricordando certo che la Mafia non è una bella cosa, ma che per farla, ci vuole una buona dose di machismo e virilità? Due caratteristiche genetiche del maschio italiota che abitano tanto un Provenzano quanto un Maresciallo Rocca. Uno poi fa le sue scelte. Ma è con Papa Pacelli che l’ottimismo retroattivo della fiction nostrana tocca il suo apice: nelle due puntate di “Sotto il cielo di Roma”, il controverso Papa, vissuto per sua sfortuna accanto a personaggi ostici come Adolf e Benito, viene rappresentato come uno che non poteva far altro che ciò che ha fatto: nascondere ebrei clandestinamente nei conventi della Capitale senza schierarsi ufficialmente contro l’imbianchino voglioso di conquistare il mondo perché il contrario avrebbe scatenato le ire del nazismo sulla Chiesa stessa e sui fedeli in Europa peggiorando la situazione. Queste sono le fiction che ci piacciono. Quelle che imboccano una strada e procedono senza sbavature. Il buon vecchio senso unico, che aiuta la viabilità dei sentimenti e dei pensieri. E che diamine: certo che il Rabbino della comunità ebraica di Roma si scandalizza. E allora? È chiaro che il suo parere è di parte, quindi non fatevi traviare. Godiamoci la fiction, con le sue musiche a sottolineare i momenti emotivamente toccanti – praticamente si sente solo musica per tutto il film –, la storia d’amore tra i giovani belli e fotomodelli che si amano in un doppiaggio fuori sincro. E non tacciamola di apologia o di revisionismo storico. Non meniamola con questa storia della fiction di regime che ha bisogno di smorzare i toni anche su fatti accaduti settant’anni fa. Mica distorce la verità. Semplicemente ne racconta una tra le tante. Chi contesta, giri una fiction per raccontarne un’altra.

Paolo Faretti


MINZIONE SPECIALE
BRAVO! L'HAI FATTA FUORI DAL VASO
Cari lettori, in questo numero non ci sarà Minzione Speciale per nessuno perché in troppi l’hanno fatta fuori dal vaso. La continenza di questi tempi è un lusso – e poiché noi siamo dei morti di fame, attenti alla pancia del pubblico nella speranza di poter riempire la nostra, abbiamo deciso di lasciare spazio ad una strip che piace a grandi e piccini, allieta le famiglie, tiene i giovani lontani dalla strada e dalle cattive compagnie, è fine e non impegna:
Marlon e Dolly. Storia d’amore tra un lupo al naturale e una pecora clonata.


RECINZIONI TEATRALI
Clisteriu: dalla Bulgaria con amore.
La giovane compagnia bulgara Clisteriu sbarca in Italia con la discussa e provocatoria Alienazione Fisica, una trilogia tanto intensa nella denuncia delle derive postmoderne quanto lucida nella scelta espressiva.
L’inizio è folgorante. La prima pièce, Gastrologia, si apre su una scena evocativamente vuota. Dal fondo, lentamente, quasi arrancando, avanza una brigata di vecchi commilitoni di un non meglio identificabile esercito, con le divise sgualcite, le bocche sdentate, che a suon di rutti baritonali, peti e flatulenze di vario genere, racconta gli effetti sconvolgenti di una non meglio identificabile guerra. E il pubblico si trova di colpo catapultato nella società contemporanea, nell’alienazione del corpo immerso in un flusso e riflusso di violenze assordanti che lacerano l’intimo, lo piegano a voleri superiori, lo riducono a pallida ombra, residuo bellico vero e proprio. Una società di reduci.
La parte centrale dello spettacolo, Tapis Roulant, racconta un’altra alienazione: quella del lavoro. E lo fa con leggerezza, con buona pace dei movimenti operai di ogni ordine e grado. Per tre ore circa, i 32 attori della compagnia corrono senza soste, schiena al pubblico, su altrettanti omonimi macchinari, fino a crollare esausti ed essere sparati uno dopo l‘altro sulle prime file della platea. Le uniche parole sono i lamenti derivanti dallo sfiancamento e dal trauma conseguente: una scelta registica originale per denunciare in modo forte cadute e ricadute del sistema turbocapitalistico, che consuma i corpi fino a ridurli a scarti, rifiuti esausti da gettare il più lontano possibile.
Chiude la trilogia Venerea, una satira feroce e generosa, cruda e infantile, dell’alienazione sessuale. Attori e macchinisti, costumisti e fonici, maschere ed elettricisti, prendono possesso della scena, si spogliano e si lasciano andare ad una generale e grottesca copula di gruppo. Nel brulicare indistinto di corpi, gemiti, sospiri, urla, il pubblico assiste ad atti sessuali espliciti e di vario genere. Fino a che il mucchio, esausto e grondante di umori, non si apre per lasciar avanzare il regista, Corneliu Meghisto che, vestito di candida pelliccia, distribuisce le parti: i partecipanti sono divisi in coppie, tanto etero che omo, e a ciascuna viene attribuita una malattia, così che l’esplicita ripresa dell’attività sessuale, ora canonizzata, è segnata dalla decadenza, dal disfacimento, dalla morbosità, dalla morte. Il matrimonio e la convivenza: alienazione legalizzata della libido.
A prima vista discutibili, le scelte di C. Meghisto si rivelano azzeccate. Inizialmente stordito se non nauseato, lo spettatore finisce per accogliere con entusiasmo i Clisteriu, prende coscienza dell’alienazione che lo domina in ogni ambito e riconosce che solo quella crudezza scenica poteva svegliarlo dal torpore in cui troppo spesso l’arte lo confina cullandolo di alienanti illusioni. Da vedere e raccontare. Al Piccolo Teatro Piccolo di Milano dal 5 novembre al 12 dicembre.


M.C.X.II Casagrande - Mezzogiorno a teatro





BLUSCLINT: un fuoco di paglia
Da diverso tempo si parla di questi Blusclint – che ora sbarcano anche a Torino. Chi sono non è dato saperlo. Mascherano il loro riserbo adducendo ragioni artistiche: «preferiamo non essere individuati perché non ci interessa il protagonismo dei singoli ma la forza delle storie che portiamo in scena». E continuano: «Prendiamo esempio dai bambini. A teatro gli adulti applaudono o contestano la performance dell’attore – solitamente del grande vecchio di turno – mentre i bambini applaudono il personaggio buono e contestano il cattivo. I bambini credono ancora all’incanto del teatro». Praticamente il manifesto per un nuovo teatro dell’infanzia: ma tra una pappina e un cambio pannolino, chi si occupa dei testi, della recitazione, della regia, della produzione? «Solitamente ci dividiamo i compiti in base al progetto, fermo restando che la parte più artistica è curata da Paolo e quella più tecnico-amministrativa…» Paolo è il protagonista di Woof, vero? «Sì, così come lo è in Con le tue labbra senza dirlo, in Sabato sera. Dalla provincia con amore e in Riccardo III. Per la parte tecnico-amministrativa, invece…». Sì va bene, restiamo sull’attore… «Paolo è anche l’autore e il fumettista della compagnia, mentre…». Sì ma questi sono dettagli. Nel poco spazio rimanente ci interessa sapere perché la compagnia si ostina a mandare in scena Paolo e non altri. «A parte che Woof! è un monologo vissuto, sublimato e scritto da Paolo, quindi imprescindibile dalla sua recitazione. Per quanto riguarda gli altri spettacoli, abbiamo sempre scritturato e onestamente retribuito attori e attrici». Sì, va bèh, onestamente retribuito… «Su questo aspetto c’è la totale serietà e intransigenza del nostro responsabile tecnico-amministr…». Resta il fatto che Paolo, che ha quasi quarant’anni «Trentacinque appena compiuti, prego…», quasi quaranta, appunto, sembra piuttosto bollito in scena… Insomma, intorno ai quaranta, quando in Italia ci si comincia a far conoscere, voi avete un attore che è praticamente sfiatato, spompato, imbolsito…e che si ostina a recitare cercando una purezza, una sincerità, una verità di cui il teatro di questi tempi non sa che farsene… «Scusi, ma che compagnia ha visto?». Che vuol dire? La critica è critica, non ha bisogno di vedere per capire e spiegare. Se proprio deve sapere qualcosa in più va a cena con gli interessati. Voi neanche quello: del resto, cosa ci si poteva aspettare da una compagnia che non ha neanche un responsabile tecnico-amministrativo...?!

A. Brusco - La Ristampa


La rivista è realizzata senza alcuno sforzo intellettivo dagli amici immaginari e reali dei Blusclint.
Poichè ci (a noi) scrivono solo individui borderline che non possiamo aiutare perchè non siamo andati oltre la terza elementare, e che non possiamo pubblicare perchè finiremmo censurati, il nostro indirizzo mail è arbitrariamente sospeso - fino a quando gli interessati non saranno guariti o almeno qualcuno tra noi non avrà preso una laurea in psicologia. E comunque lo diceva già Shahespeare nell'Amleto, nella Scena Seconda dell'Atto V - o giù di lì: "Il resto è ilenzio".